la
Morte la Terra il Monte
l'Oceano il Cosmo la Vita
(alcune visioni poetiche di Giovanni Pascoli )
La
piccozza
[parte finale]
"(...) Ascesi
il monte senza lo strepito
delle compagne grida. Silenzio.
Né cupi sconforti,
non voce, che voci di morti.
Da
me, da solo, solo con l'anima,
con la piccozza d'acciar ceruleo,
su lento, su anelo,
su sempre; spezzandoti, o gelo!
E
salgo ancora, da me, facendomi
da me la scala, tacito, assiduo;
nel gelo che spezzo,
scavandomi il fine ed il mezzo.
Salgo,
e non salgo, no, per discendere,
per udir crosci di mani, simili
a ghiaia che frangano,
io, io, che sentii la valanga;
ma per
restare là dov'è ottimo
restar, sul puro limpido culmine,
o uomini; in alto,
pur umile; è il monte ch'è alto;
ma per
restare solo con l'aquile,
ma per morire dove me placido
immerso nell'alga
vermiglia ritrovi chi salga:
e a
me lo guidi, con baglior subito,
la mia piccozza d'acciar ceruleo,
che, al suolo a me scorsa,
riflette le
stelle dell'Orsa."
[Ed errando fra quelle stelle...]
"...
Ma non v'era che il cielo, alto e sereno,
non l'ombra d'uomo, non rumor di peste.
Cielo
e non altro: il cupo cielo, pieno
di grandi stelle: il cielo, in cui sommerso
mi parve quanto mi parrea terreno.
E la terra sentii nell'universo.
Sentii,
fremendo, ch'é del cielo anch'ella,
e mi vidi quaggiù piccolo e sperso.
Errare, tra le stelle, in una stella ..."
* * * * * * * * * * * *
L'inno eterno
[parte conclusiva
dell'immagine idilliaca, immersa nello scenario costiero di una
civiltà egea 'senza tempo', di un coro di voci femminili e di
classici strumenti]
"(...) Eppur di là l'alterna eco
d'un inno
giungeva al cuore, o forse era nel cuore.
Da destra il giorno
si movea col sole,
portando il canto e l'opere di vita,
verso sinistra, al mesto occaso, donde
co' suoi pianeti si volgea la notte
tornando all'alba e conducendo i sogni,
echi e fantasmi d'opere canore.
Fluiva il giorno, rifluía la notte.
Sotto
il giorno e la notte, e la vicenda
di luce e d'ombra, di speranza e sogno,
stava la terra immobile(*). Ma il coro
era piú rapido. Arrivava un'onda
dal mare, un'altra ritornava al mare.
... Era la vita ...
Dopo
il moto alterno
d'un'onda sola che salía cantando,
scendea scrosciando, mormorava il mare
immobilmente. E molte vite in fila
salían dal mare riscendean nel mare:
quindi l'eterno.
E
dall'eterno altre onde:
i figli. Altre onde dall'eterno: i figli
dei figli. E onde e onde, e onde e onde...".
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(*) nota:
Credo che questa "terra immobile" non abbia assolutamente nulla a che vedere con una superata visione tolemaica, geocentrica dell'universo. Senza dubbio il Poeta intende fare riferimento ad una "Terra interiore", la cui immobilità è allegoria della Pace profonda e sublime cui aspira l'anima, sia perchè segnata gravemente dal dolore e dal lutto, sia perchè ha acquistato coscienza lucida e saggia di una Realtà superiore, la quale al tempo stesso sta "fuori e dentro il cuore", ed è l'unica a cui in fondo vale la pena di rivolgersi, oltre il chiassoso, vanesio ed effimero mondo esterno. Per fare un paragone, chi ha visto il film "Solaris" di Andrei Tarkovskij, certamente ricorderà la bellissima scena conclusiva in cui la Realtà, l'Essenza della propria "Terra individuale" altro non è, alla fine, che come un'isola immersa dentro un grande 'Oceano Mentale'; come dire che la presunta Realtà Oggettiva in cui 'credono' gli scienziati (sotto puro atto di fede, a dire il vero), altro non è (e non può essere diversamente!) che un'insieme composto da un'infinità di "Isole" (o "monadi') di Coscienza individuale, ciascuna delle quali appare come circondata dall'Oceano Cosmico, unica Madre della Vita Universale, la grande Mente che partecipa alla sua stessa fluida Creazione, vivendo per l'appunto attraverso gli occhi, i sentimenti e le idee di ciascuna delle sue creature figlie, nessuna esclusa.
A. Asterzod
Riferimenti bibliografici:
Giovanni
Pascoli, "Tutte le
Opere", Mondadori, Milano, 1939-1956
- Odi e Inni
- I vecchi di Ceo (in Poemi
conviviali)
-
Il bolide
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